Il referendum




SINTESI REFERENDUM SULL’ACQUA
Legge Ronchi
Il 10 Settembre 2009 il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge e il 19 Novembre la Camera dei Deputati lo ha convertito in Legge.
L’art. 15 del decreto 135/09 che ha modificato il precedente art. 23 bis - muove passi ancor più decisi verso la privatizzazione dei servizi idrici e degli altri servizi pubblici.
In 30 articoli la legge intende soddisfare in ritardo obblighi comunitari e sanare procedure di infrazione su argomenti disparati, quali le autoriparazioni, la liberalizzazione delle rotte marine, lo smaltimento delle apparecchiature elettroniche, la definizione del made in Italy.
In ambito di servizi idrici, il decreto recepisce i principi comunitari di "economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento" per
  1. l’affidamento della gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica o, in alternativa a società a partecipazione mista pubblica e privata con capitale privato non inferiore al 40%;


  1. stabilisce inoltre che nelle società già quotate in borsa che si occupano della gestione di servizi idrici, la quota di capitale in mano pubblica non sia superiore al 30%, lasciando la maggioranza ai privati. Prevede inoltre la cessazione degli affidamenti “in house” a società totalmente pubblica, controllate dai comuni (in essere alla data del 22 agosto 2008) alla data del 31 dicembre 2011 o la cessione del 40% del pacchetto azionario.

Con le nuove norme contenute nel decreto viene di fatto messo punto un sistema che consentirà un'apertura ai mercati con benefici per amministrazioni e cittadini in termini di qualità ed economicità, specie in un settore importante come quello dei servizi idrici: "Questa riforma - sottolinea Ronchi - tenderà a dare maggiori garanzie al servizio idrico, ad annullare gli sprechi ed evitare che sulle tariffe ci possano essere disparità enormi tra una città e l'altra dell'Italia".
Tornando sulle critiche di chi ha visto una sorta di privatizzazione dei servizi idrici, Ronchi chiarisce: "Si è parlato strumentalmente di privatizzazione dell'acqua: è una polemica che rispediamo al mittente. L'acqua è, resta e sarà pubblica: non è privatizzabile e l'art. 15 rafforza questo principio. L'acqua - conclude il ministro - è un bene pubblico sacrosanto, un diritto doveroso che va tutelato e noi con questa legge lo facciamo andando a rompere monopoli che sono stati inefficienti".



Reazioni e commenti


Malgrado la fortissima pressione dell'opinione pubblica e gli appelli lanciati da più parti, si è andati avanti comunque. La liberalizzazione dell'acqua peserà sulle tasche dei cittadini con aumenti che - secondo le associazioni dei consumatori - saranno a due cifre, compresi tra il 30% e il 40%.
"Si profila una vera e propria stangata - dice il Codacons -se consideriamo in 3 anni il tempo necessario perchè il nuovo sistema vada a regime, alla fine di questo processo si rischia un aumento medio del 30% delle tariffe dell'acqua.
Se nel 2009 una famiglia media italiana spenderà 268 euro, considerando un consumo medio annuo di 200 metri cubi d'acqua, tra 3 anni quella stessa famiglia spenderà 348 euro all'anno".
Secondo l'Adiconsum, "il privato non è garanzia di investimento; è invece certo che ci saranno tariffe più elevate".
"Siamo pronti alla mobilitazione", dice il presidente della Confeuro, Rocco Tiso, e comunque "resta da sciogliere il nodo dell'organismo di controllo per stabilire le tariffe. Senza questo strumento la riforma è monca".
"Con la fiducia sulla conversione in legge del decreto si è di fatto scelta la privatizzazione nel servizio idrico: oltre il 50% delle aziende attualmente operanti cesserà, per legge, di esistere al 31 dicembre del 2011, salvo non venda almeno il 40% ad un privato. Ma privatizzare non necessariamente significa migliorare il servizio per l'utente". E' la posizione dell'Anea, l'associazione delle Autorità ed enti d'ambito territoriale ottimale (Ato) che rappresenta gli Enti regolatori del Servizio idrico integrato.
"Il governo si è bevuto la fiducia dei cittadini. Blindando l'acqua nel decreto Ronchi, infatti, l'esecutivo ha dimostrato di essere preoccupato più di assecondare gli interessi dei gruppi industriali privati che di regolamentare un settore vitale per la società con la costituzione di una Autorità". Questa la posizione di Cittadinanzattiva espressa dal segretario generale Teresa Petrangolini, che aggiunge: "Sosterremo la raccolta firme per un referendum abrogativo".
"Privatizzare acqua e ciclo dei rifiuti è un favore alla criminalità organizzata": lo afferma il segretario generale Fp-Cgil, Carlo Podda. "I rifiuti, l'altro grande servizio di pubblica utilità travolto da questa riforma, ma particolarmente sottovalutato in questi giorni, è divenuto, soprattutto nel Sud Italia, un grande business per le mafie".
Alcune Regioni, tra cui la Puglia e le Marche, hanno già annunciato un ricorso alla Corte Costituzionale.
ntanto un referendum contro la legge viene proposto da tre sigle delle associazioni dei consumatori - Adusbef, Federconsumatori e Movimento Consumatori - che hanno avviato una raccolta delle firme con un comitato provvisorio.

Il 19 luglio, il Comitato Promotore dei Referendum per l'acqua pubblica ha consegnato oltre un milione e quattrocentomila firme presso la Corte di Cassazione per i tre referendum che chiedono l’abrogazione di tutte le norme che hanno portato alla privatizzazione dell’acqua e fatto della risorsa bene comune per eccellenza una merce.
Il 12 gennaio la Corte costituzionale ha deciso sulla ammissione di due dei quesiti posti dal comitato referendario, il 1° e il 3° :
  • 1° Quesito – Si tratta di abrogare quella parte di legge che parla delle « modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica »


  • 3° Quesito – Si tratta di abrogare une parte della norma che parla della “Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in abse all’adeguata remunerazione del capitale investito ».


Conseguenze della vittoria dei SI ai referendum (abrogazione delle norme o parti di legge proposti nei quesiti)
  • 1° Quesito – Abrogare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizazioni imposte dal governo


  • 2° Quesito – Abrogare questa norma significa impedire al gestore privato di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% che va a remunerare il capitale investito a monte, e senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio.
Abolendo questa norma si impedisce ai privati di fare dei profitti sull’acqua e non si rende conveniente sempre ai privati la gestione speculativa dei servizi idrici (niente profitti, niente investimenti)



Appello di padre Alex Zanotelli da Nigrizia.it

"Questo è l'anno dell'acqua, l'anno in cui noi italiani dobbiamo decidere se l'acqua sarà merce o diritto fondamentale umano.

Il 19 novembre 2009, il governo Berlusconi ha votato la legge Ronchi, che privatizza i rubinetti d'Italia. È la sconfitta della politica, è la vittoria dei potentati economico-finanziari. È la vittoria del mercato, la mercificazione della ‘creatura' più sacra che abbiamo:'sorella acqua'.

Questo decreto sarà pagato a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese, che, per l'aumento delle tariffe, troveranno sempre più difficile pagare le bollette dell'acqua (avremo così cittadini di serie A e di serie B!). Ma soprattutto, la privatizzazione dell'acqua, sarà pagata dai poveri del Sud del mondo con milioni di morti di sete.

Per me è criminale affidare alle multinazionali il bene più prezioso dell'umanità (l'"oro blu"), bene che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici (scioglimento dei ghiacciai e dei nevai) sia per l'incremento demografico.

L'acqua è un diritto fondamentale umano, che deve essere gestito dai Comuni a totale capitale pubblico, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione per tutti al costo più basso possibile.

Purtroppo, il nostro governo, con la legge Ronchi, ha scelto un'altra strada, quella della mercificazione dell'acqua. Ma sono convinto che la vittoria dei potentati economico-finanziari si trasformerà in un boomerang.

È già oggi notevole la reazione popolare contro questa decisione immorale. Questi anni di impegno e di sensibilizzazione sull'acqua, mi inducono ad affermare che abbiamo ottenuto in Italia una vittoria culturale, che ora deve diventare politica.

Ecco perché il Forum italiano dei Movimenti per l'acqua pubblica, lancia ora il Referendum abrogativo della Legge Ronchi, Non sarà un referendum solo abrogativo, ma una vera e propria consultazione popolare su un tema molto chiaro: o la privatizzazione dell'acqua o il suo affidamento ad un soggetto di diritto pubblico.

Le date del referendum verranno annunciate in una grande manifestazione nazionale a Roma il 20 marzo, alla vigilia della Giornata Mondiale dell'acqua (22marzo). Nel frattempo chiediamo a tutti di costituirsi in gruppi e comitati in difesa dell'acqua, che siano poi capaci di coordinarsi a livello provinciale e regionale.

È la difesa del bene più prezioso che abbiamo (aria e acqua sono i due elementi essenziali per la vita!). Chiediamo a tutti i gruppi e comitati di fare pressione prima di tutto sui propri Comuni affinché convochino consigli monotematici per dichiarare che l'acqua è un bene di non rilevanza economica. Questo apre la possibilità di affidare la gestione dell'acqua ad un soggetto di diritto pubblico. Abbiamo bisogno che migliaia di Comuni si esprimano. Potrebbe essere questo un altr referendum popolare propositivo.

Solo un grande movimento popolare trasversale potrà regalarci una grande vittoria per il bene comune. Sull'acqua ci giochiamo tutto, anche la nostra democrazia. Dobbiamo e possiamo vincere. Ce l'ha fatta Parigi (la patria delle grandi multinazionali dell'acqua ,Veolia, Ondeo ,Saur che stanno mettendo le mani sull'acqua italiana) a ritornare alla gestione pubblica. Ce la possiamo fare anche noi. Mobilitiamoci! È l'anno dell'acqua!"




Altri commenti
di  ETTORE LIVINI – La Republica 21 gennaio 2010


- Il risiko dell'oro blu si prepara a ridisegnare la mappa dell'acqua italiana. Nei prossimi 12 mesi - salvo stop dal referendum di giugno - un po' di maxi utility italiane, i grandi costruttori di casa nostra e un'agguerrita pattuglia di colossi stranieri si affronteranno in una partita miliardaria: la riorganizzazione della rete idrica tricolore con un'apertura più decisa ai privati. I vincitori si spartiranno un Bingo da sogno: il ricco (e anticiclico) mercato delle bollette - già cresciute del 65% dal 2002 a fine 2010 - e la gestione dei 64 miliardi di euro di investimenti necessari per rimettere in sesto i 300mila chilometri di tubi che trasportano il prezioso liquido dalle sorgenti fino ai rubinetti di casa nostra. Un colabrodo "non degno di un paese avanzato" - come dice tranchant il Censis - che perde per strada 47 litri ogni 100 immessi in rete, con un danno di 2,5 miliardi l'anno.

La strada a livello legislativo è già tracciata: entro dicembre - dice il decreto Ronchi - gli enti locali dovranno aprire definitivamente ai privati questo mercato. Mantenendo la proprietà dell'acqua ma affidandone a terzi la gestione industriale. C'è solo un ultimo (fondamentale) ostacolo per questa rivoluzione che rischia di avere conseguenze importanti anche per il portafoglio dei consumatori: il referendum di giugno che chiede l'abrogazione del provvedimento, lasciando il servizio idrico nazionale in mano allo Stato. Ma quanta acqua potabile abbiamo in Italia e perché la nostra rete è
Un tesoro dal cielo
Giove pluvio ha avuto un occhio di riguardo per il Belpaese. Sull'Italia, certifica Eurostat, cadono in media 296 miliardi di metri cubi l'anno di pioggia (per il 42% al nord) cifra che ci mette al sesto posto nel continente dietro Francia (485), Norvegia (470), Spagna (346) e vicini a Svezia (313) e Germania (307). Al netto dell'evaporazione e dei deflussi abbiamo accesso a 157 miliardi di metri cubi (3mila l'anno per abitante). Un capitale immenso che però - come spesso accade nel nostro paese - non riusciamo a far fruttare visto che in rete pompiamo "solo" 136 metri cubi a testa ogni dodici mesi. Dove si perde tutto questo ben di Dio che piove dal cielo? In buona parte nei fiumi e sottoterra. "L'Italia non ha gli invasi necessari per conservare questo tesoro per i periodi siccitosi", ripete da anni l'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (l'agricoltura consuma 20 miliardi di metri cubi l'anno contro i 16 dell'industria e i 5,2 per consumi domestici). I 337mila chilometri di acquedotti tricolori ci danno così accesso solo a un terzo di quanto è disponibile in pozzi e sorgenti. E quando bene siamo riusciti a imbrigliare l'acqua in un tubo, non riusciamo a trasportarla sana e salva a destinazione: di100 litri raccolti alla fonte, al rubinetto ne arrivano solo 53. A Bari, certifica l'Istat, bisogna mettere in rete 206 litri per riuscire a consegnarne 100. A Palermo 188, a Trieste 176. Milano (dove i smarriscono solo 11 litri ogni 100) e Venezia (9) sono mosche bianche in questa liquidissima galassia di sprechi che butta dalle sue falle - calcolano Civicum e Mediobanca - qualcosa come 2,5 miliardi di euro di oro blu ogni anno. In Germania, per dire, la dispersione è di sette litri su 100 (e lì è una cifra che fa scandalo) mentre la media europea è del 13%. 



Il quadro di regole
Chi gestisce oggi la rete idrica nazionale? Cosa cambierà con il decreto Ronchi che - salvo successo del referendum - allargherà la presenza dei privati nel settore da fine 2011? Fino a pochi mesi fa il quadro di regole era quello disegnato dalla legge Galli a metà degli anni '90. Un'Italia dell'acqua "federale" divisa in 92 Ambiti territoriali ottimali (Ato) pubblici - prima se ne occupavano 8.500 comuni - che dopo aver steso un programma di interventi necessari per migliorare la rete dovevano riaffidare il servizio. Una piccola rivoluzione accompagnata dal passaggio da un sistema tariffario rigido (regolato dal Cipe per tutto il paese) a una tariffa reale media in grado di coprire gli investimenti e un rendimento garantito al gestore (il 7%). Con un tetto di incremento annuo per i prezzi al consumo fissato comunque al 5%. La metamorfosi però va ancora a rilento. A 15 anni dalla riforma, dei 92 Ato - dice il Blue Book 2010 di Utilitatis - solo 72 hanno provveduto ad affidare il servizio. E l'acqua è ancora saldamente in mano pubblica. Ben 34 Ato hanno girato la gestione a realtà controllate al 100% da enti locali. In tredici casi è stata passata a società quotate ma a forte presenza pubblica come le multitutility e in altri dodici ad aziende miste pubblico-privato. Solo 6 Ato - di cui cinque in Sicilia - hanno consegnato le chiavi dei loro acquedotti (ma non la proprietà) interamente ai privati. Cosa cambierà a fine 2011? Il Decreto Ronchi farà decadere tutti gli affidamenti in house, quelli a società interne, a meno che non si apra il capitale per almeno il 40% a un socio privato. Le municipalizzate potranno invece conservare la gestione solo se la quota pubblica del loro capitale scenderà sotto il 40% a giugno 2013 e sotto il 30% a fine 2015.



I nuovi padroni dell'oro blu
Chi sono i protagonisti privati di questo risiko dell'oro blu? L'identikit dei concorrenti ai nastri di partenza è già abbastanza chiaro. Anche perché molti di loro hanno già messo uno zampino nel mercato idrico nazionale e si stanno organizzando da tempo per la grande partita della privatizzazione. A far gola non è soltanto il business dell'acqua in sé. Anzi: "Il tetto al 5% dell'incremento delle tariffe è un limite che spaventa molti potenziali investitori", ammette Adolfo Spaziani, direttore di Federutility. Il boccone più grosso sono gli investimenti necessari per tappare le falle degli acquedotti nazionale: una torta gigantesca da 64,1 miliardi nell'arco dei prossimi 30 anni (compresi interventi su fogne e impianti di depurazione), stima il Blue Book 2011, che fa gola anche ai costruttori. Da dove arriveranno questi soldi? Per il 14%, stima il Censis, da aiuti pubblici a fondo perduto. Per il resto saranno finanziati con le bollette. L'aumento necessario tra il 2010 e il 2020 - calcola Utilitatis - sarebbe del 18%. Soldi. Tanti. Che hanno già attirato diversi pretendenti al business dell'acqua privata. La pattuglia tricolore vede in campo tre big e qualche comprimario. Acea, la municipalizzata romana nel cui capitale sta crescendo rapidamente il gruppo Caltagirone (attivo nelle costruzioni), ha già oggi 8 milioni di utenti in diversi Ato a cavallo tra Lazio, Toscana e Umbria. Non solo. La società capitolina non ha mai nascosto il suo interesse per l'Acquedotto Pugliese (che Nichi Vendola sta cercando di blindare in mano pubblica) e ha iniziato a muovere i suoi primi passi anche verso la Lombardia. L'astro emergente - pronto a sfidare Acea per la leadership tricolore - è la Iren, la utility nata dalla fusione delle municipalizzate di Genova, Torino, Parma, Piacenza e Reggio Emilia e partecipata da IntesaSanpaolo. Opera già in Emilia, Liguria, Piemonte, Sardegna e Sicilia. E ha stretto un'alleanza azionaria di ferro con F2I, il fondo per le infrastrutture di Vito Gamberale, pronto a una scommessa importante sul business dell'acqua. Alla finestra c'è anche la Hera, la utility bolognese, forte nella regione d'origine ma ai nastri di partenza - almeno in apparenza - con piani meno ambiziosi. Mentre A2a e Acegas si muovono per ora solo a livello locale. Chi sono i big stranieri pronti a scalare l'acqua tricolore? Due hanno già scoperto le carte: Suez, il colosso transalpino, in campo a fianco dell'Acea, con cui già lavora in Toscana e Umbria e il rivale francese Veolia, che distribuisce l'acqua nell'Ato di Latina, a Lucca, Pisa, Livorno e nel Levante ligure. Una sbirciatina al dossier Italia l'hanno data gli inglesi di Severn Trent (che ha già messo un piedino in Umbria) e gli spagnoli di Aqualia sbarcati da tempo a Caltanissetta.



Il rebus pubblico-privato
Meglio per l'utente un gestore pubblico o privato? La risposta naturalmente non è facile. E l'esperienza degli ultimi anni non aiuta certo a sciogliere il dubbio. Ci sono amministrazioni pubbliche più che efficienti ed economiche - Milano ad esempio spreca poca acqua e ha una delle tariffe più basse d'Europa - e altre con bilanci e acquedotti che fanno acqua in tutti i sensi. I privati hanno spesso prezzi più alti ma in media tendono a garantire più servizi e investimenti. Proviamo a far parlare i pochi dati disponibili. Primo fatto: in assenza di un'authority che regoli il settore nessuno, pubblico o privato, riesce a rispettare gli impegni. Gli investimenti previsti dagli Ato nei loro primi anni di vita sono stati realizzati solo al 56%, dice il Coviri, l'ente che vigila sul settore con pochissimi poteri. Le realtà a controllo pubblico sono riuscite a mandarne in porto molto meno del 50% ("anche perché lo stato taglia gli stanziamenti e loro non riescono a finanziarsi sul mercato o con nuove tasse", sostiene Spaziani). Le Spa miste e le municipalizzate li hanno ridotti "solo" del 13% in base agli studi del Blue Book. "Però da quando nell'acqua operano i privati l'occupazione è scesa del 30% e i consumi sono aumentati della stessa misura", sottolinea Marco Bersani del Forum movimenti per l'acqua pubblica. La legge Galli, per assurdo, ha ingessato il sistema. Fino al 1995, quando pagava tutto Pantalone (alias lo Stato), si spendevano 2 miliardi l'anno per la manutenzione di acquedotti, fogne e depuratori. Oggi siamo fermi a 700 milioni. Roma taglia e i privati, in assenza di meccanismi tariffari premianti, investono con il contagocce.



Il nodo delle tariffe
I privati fanno pagare di più l'acqua? Questo, naturalmente, è il dato che interessa di più l'utente finale che fino a quando vede l'acqua scorrere dal rubinetto di casa si preoccupa più del suo portafoglio che dei buchi della rete a monte. Anche qui - sul fronte della bolletta - i dati empirici sono per ora pochi. Certo gli affidamenti degli Ato ad aziende miste o private che hanno promesso più investimenti hanno comportato un balzo secco della bolletta. Nel 2002 ogni italiano pagava in media 182 euro l'anno per il servizio idrico. Oggi siamo a 301, il 65% in più. Gli abitanti di Toscana (462 euro di spesa l'anno), Umbria (412), Emilia (383) e Liguria (367) - le regioni dove il processo di privatizzazione è più avanti - sono quelli che scontano prezzi più elevato (i lombardi, per dire, spendono 104 euro). Dei 25 Ato con tariffe al top, 21 sono privati o in gestione mista. "Ma una spiegazione c'è - dice Spaziani - . Lì si investe di più mentre gli Ato a gestione pubblica privilegiano per ovvi motivi di consenso politico la tariffa bassa al servizio efficiente". Ma non sempre è così: "Ad Agrigento c'è la bolletta più alta del paese e l'acqua arriva due volte la settimana e solo in due terzi della città - dice Bersani - . Salvo poi scoprire che il gestore privato Girgenti Acque ne vende un bel po' a Coca Cola per fare una bevanda gassata". A Latina - dove il Comune è affiancato da Veolia - i costi sono schizzati "tra il 300 e il 3000%" calcola Bersani e 700 famiglie si autoriducono ogni mese la bolletta pagando il giusto (dicono loro) al Comune.
A fine 2010 un metro cubo d'acqua costava 1,37 euro (con picchi di 2,28 per l'alta Toscana e di 0,66 a Milano). Nel 2020 saremo a quota 1,63, il 18% in più con punte di +75% per l'area di Lecco (che passa alla tariffa media) e del 67% nell'Ato Bacchiglione gestito da Aps-Acegas. "Ma attenzione - dice Giuseppe Roma della Fondazione Censis - restiamo comunque ben al di sotto di quanto si spende nel resto d'Europa". Un berlinese paga per l'acqua quasi mille euro l'anno, a Bruxelles la bolletta è di 580, a Varsavia 545. A Barcellona, Oslo, Helsinki e San Francisco siamo al doppio dei 200 dollari della capitale italiana. "Purtroppo dobbiamo rassegnarci - spiega Roma - . Il dilemma pubblico-privato è un falso problema: il sistema fa acqua da tutte le parti. Due italiani su dieci non hanno il servizio di fogna, al sud quasi uno su due riceve acqua non depurata. Non importa chi gestirà la rete in futuro. Per far funzionare la rete dobbiamo alzare e non di poco il prezzo. Le tariffe oggi riflettono solo la ricerca di consenso politico". Senz'acqua, in fondo, non si può stare. E - come ricorda Spaziani - per la bolletta idrica spendiamo oggi solo lo 0,8% delle uscite mensili contro il 2% per il telefono, il 5,3% in elettricità e riscaldamento, il 14,9% per i trasporti e lo 0,9% per le sigarette. Per non parlare, dulcis in fundo, del più assurdo dei paradossi: in Italia una famiglia di 4 persone spende in media 340 euro l'anno in acqua minerale. Trentanove in più di quanto stanzia (lamentandosi) per quella che arriva dal rubinetto.

Informativa per gli italiani all’estero


La legge di riferimento per il voto degli italiani residenti all'estero è la n. 459/2001.
Gli articoli della legge più importanti a riguardo sono:

- Art. 1, comma 1. I cittadini italiani residenti all'estero, iscritti nelle liste elettorali di cui all'articolo 5, comma 1, votano nella circoscrizione Estero, di cui all'articolo 48 della Costituzione, per l'elezione delle Camere e
per i referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, nei limiti e nelle forme previsti dalla presente legge.
Comma 2. Gli elettori di cui al comma 1 votano per corrispondenza.
Comma 3. Gli elettori di cui al comma 1 possono esercitare il diritto di voto in Italia, e in tale caso votano nella circoscrizione del territorio nazionale relativa alla sezione elettorale in cui sono iscritti, previa opzione da esercitare per ogni votazione e valida limitatamente ad essa.

- Art. 4, comma 2. In caso di scioglimento anticipato delle Camere o di indizione di referendum popolare, l'elettore può esercitare l'opzione per il voto in Italia entro il decimo giorno successivo alla indizione delle votazioni.
- Art. 5, comma 2. Sono ammessi ad esprimere il proprio voto in Italia solo i cittadini residenti all'estero che hanno esercitato l'opzione di cui all'articolo 1, comma 3.

- Art. 6, comma 1. Nell'ambito della circoscrizione Estero sono individuate le seguenti ripartizioni comprendenti Stati e territori afferenti a:
        a) Europa, compresi i territori asiatici della Federazione russa e della Turchia;
        b) America meridionale;
        c) America settentrionale e centrale;
        d) Africa, Asia, Oceania e Antartide.

- All'art. 12. Vengono illustrati tempi e modi del voto.

- Art. 20, comma 2. Gli elettori residenti negli Stati in cui non vi sono rappresentanze diplomatiche italiane ovvero con i cui Governi non sia stato possibile concludere le intese in forma semplificata di cui all'articolo 19, comma 1, nonché negli Stati che si trovino nelle situazioni di cui all'articolo 19, comma 4, hanno diritto al rimborso del 75 per cento del costo del biglietto di viaggio. A tale fine l'elettore deve presentare apposita istanza all'ufficio consolare della circoscrizione di residenza o, in assenza di tale ufficio nello Stato di residenza, all'ufficio consolare di uno degli Stati limitrofi, corredata del certificato elettorale e del biglietto di viaggio.

In sostanza è possibile votare all'estero per corrispondenza a meno che non si faccia esplicita richiesta di esprimere il voto in Italia.
Il rimborso del viaggio, pari al 75% del biglietto, è riservato a coloro che risiedono in stati in cui non sussistono le condizioni affinchè il voto si svolga con modalità di eguaglianza, di libertà e riservatezza.




Referendum 2009 – Informativa per gli italiani all’estero
Approfondimenti

Gli elettori italiani residenti all’estero e alcune categorie di connazionali temporaneamente all’estero, come meglio specificato oltre, possono votare per i referendum abrogativi del 21 giugno prossimo per corrispondenza. Il voto per i referendum dei cittadini residenti ed iscritti all’AIRE si esprime esclusivamente per corrispondenza negli Stati con i quali il Governo italiano ha concluso apposite intese (vedi elenco allegato). Negli Stati dove tali intese non sono state concluse gli elettori residenti ed iscritti all’AIRE non  potranno esercitare il voto per corrispondenza e pertanto, per votare, dovranno recarsi in Italia. In tal caso, presentando apposita istanza all’ufficio consolare della circoscrizione di residenza corredata del certificato elettorale e del biglietto di viaggio, avranno diritto al rimborso del 75% del costo del biglietto.
N.B.  Tale possibilità non riguarda gli elettori temporanei, le cui categorie sono indicate di seguito, in quanto tali categorie potranno votare anche negli Stati con i quali il Governo italiano non ha concluso apposite intese.

Sei un cittadino italiano residente all’estero?

Se sei un elettore residente all’estero (iscritto all’AIRE) riceverai a domicilio, da parte del Consolato di riferimento, il plico elettorale contenente le schede e le istruzioni sulle modalità di voto. Segui attentamente le istruzioni e ricorda di osservare le date indicate per spedire all’Ufficio consolare la busta preaffrancata contenente la busta anonima con le schede votate.
Se non ricevi il plico elettorale entro il 7 giugno, potrai recarti di persona all’Ufficio consolare di riferimento per verificare la tua posizione elettorale: se il tuo nominativo già figura nell’elenco degli elettori in possesso dell’Ufficio consolare potrai ottenere un duplicato del plico elettorale, mentre in caso contrario potrai chiedere al Consolato di attivare le procedure per essere aggiunto all’elenco degli elettori.

Sei un cittadino italiano temporaneamente all’estero…

• …come militare o appartenente a forze di polizia in missione internazionale? [1] 
• …come dipendente di amministrazioni pubbliche per motivi di servizio? [2] 
• …come professore universitario o suo familiare convivente? [3]
Anche in questo caso, potrai esprimere il tuo voto per corrispondenza.
La procedura da seguire dipende dalla categoria di cui fai parte:
  • se sei un militare o un dipendente pubblico, dovrai trasmettere una dichiarazione al comando o amministrazione di appartenenza, entro il 17 maggio. I familiari conviventi dei dipendenti pubblici dovranno presentare anche la dichiarazione sostitutiva relativa dell’atto di notorietà in ordine allo stato di familiare convivente.
  • se sei un professore universitario, dovrai far pervenire, entro il 17  maggio, la dichiarazionedirettamente all’Ambasciata/Consolato di riferimento, unitamente alla dichiarazione sostitutivadell’atto di notorietà che attesti il servizio presso istituti universitari e di ricerca per una durata complessiva di sei mesi e la presenza all’estero da almeno tre mesi alla data del 30 aprile 2009. I familiari conviventi dovranno presentare anche la dichiarazione sostitutiva relativa allo stato di familiare convivente.

Se ti trovi temporaneamente all’estero e non appartieni alle tre categorie sopraindicate, puoi votare per i referendum solamente recandoti in Italia per esprimere il voto presso le sezioni istituite nel tuo Comune di iscrizione alle liste elettorali.
Concluse le operazioni, le schede votate dagli italiani residenti all’estero saranno convogliate in Italia, dove avrà luogo lo scrutinio a cura dell’Ufficio Centrale per la Circoscrizione Estero istituito presso la Corte di Appello di Roma. Parimenti, saranno trasportate a Roma le schede votate dai cittadini temporaneamente all'estero per motivi di servizio, le quali saranno scrutinate congiuntamente a quelle dei residenti all’estero.
Per ulteriori informazioni, puoi scrivere all’indirizzo di posta elettronicavotoestero09.referendum@esteri.it
[1] Appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia temporaneamente all’estero in quanto impegnati nello svolgimento di missioni internazionali.
[2] Dipendenti di Amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome, temporaneamente all’estero per motivi di servizio, qualora la durata prevista della loro permanenza all'estero, secondo quanto attestato dall'Amministrazione di appartenenza, sia superiore a tre mesi, nonché, qualora non iscritti alle anagrafi dei cittadini italiani residenti all'estero, i loro familiari conviventi.
[3] Professori universitari, ordinari ed associati, ricercatori e professori aggregati, di cui all'articolo 1, comma 10, della legge 4 novembre 2005  n. 230, che si trovano in servizio presso istituti universitari e di ricerca all’estero per una durata complessiva all'estero di almeno sei mesi e che, alla data del decreto del Presidente della Repubblica di convocazione dei comizi, si trovano all'estero da almeno tre mesi, nonché, qualora non iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani all'estero, i loro familiari conviventi.





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